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Riarmo globale:
un investimento pericoloso

Le nazioni non sono nuove alla corsa agli armamenti.
Ogni entità nazionale ha sempre investito nello sviluppo di nuovi armamenti e nel miglioramento della propria capacità industriale bellica. In special modo alle porte di crisi internazionali che hanno sconvolto il mondo.
Sfruttando la difesa territoriale e la sovranità nazionale, è facile giustificare alle masse nuovi ingenti fondi alla Difesa. Tutto considerando che, quello della Difesa, è il mercato più redditizio a livello globale.

Ad oggi gli scontri e le tensioni si sprecano. Siamo stati portati a pensare che cose simili non avrebbero più intaccato il suolo europeo. La guerra tra Russia e Ucraina ha però riacceso i riflettori anche su scontri pregressi, come quello in Kosovo. Senza contare nuove crisi sul confine dell’Est Europa. Oltre l’Ucraina il fronte può espandersi a Polonia, Repubbliche Baltiche e Finlandia. Coinvolgendo Bielorussia e Kaliningrad. Notizia di inizio settembre che gli USA abbiano iniziato gli accordi per erigere una nuova base militare. Questa sarebbe l’ennesima a confine con la Russia, più precisamente in Finlandia.
Non bisogna poi dimenticare le crisi quiescenti. I continui scontri tra Israele e Palestina, Armenia contro Azerbaijan, quelli nel Sudan; la guerra al terrorismo, la ribellione del Niger non gradita dall’ECOWAS e dalla Francia. Tutti focolai pronti a divampare in un incendio.
Vi sono poi attriti dettati da altre rivendicazioni come quella della Cina su Taiwan; le provocazioni tra Corea del Nord e quella del Sud, quelle tra Cina e Indonesia o tra Turchia e Iran.
Tutte queste tensioni sono facili leve per convincere gli schieramenti ad armarsi. Specialmente ora che la NATO sembra trovare un nuovo oppositore dopo il Patto di Varsavia: i membri BRICS. Ovviamente la NATO nacque come alleanza militare, ma oggi sembra diventata sinonimo di tutto l’Occidente, della sua politica e della sua economia. Allo stesso modo, quella dei BRICS è un’alleanza economica, ma la potenza economico-militare dei membri intimidisce.

Il precedente della Grande Guerra ci ricorda gli importanti investimenti delle nazioni europee verso le aziende produttrici d’armi. Queste erano tanto essenziali da essere consultate prima di importanti decisioni politiche. Per esempio, quando Bismark consultò le industrie Krupp per sapere se avrebbero sostenuto il ritmo della guerra.
Un altro esempio si concretizzò prima che scoppiasse la Seconda Guerra Mondiale. Prima ancora che i gerarchi nazisti avessero pronti i loro piani per la Blitzkrieg, le industrie tedesche del Terzo Reich erano in grado di produrre armi di qualità migliore ed in quantità maggiore di qualsiasi altra potenza. Infine, sempre nel secolo scorso, la corsa agli armamenti nucleari ha coinvolto sia le superpotenze che potenze minori, come Francia e Israele, per paura del nemico. Ciò innescò una spirale infinita tra paura, sviluppo e produzione.

Oggi sembra che il mondo stia rivivendo questi passaggi. Passaggi che dovrebbero esser stati studiati sui libri di Storia: la polveriera d’Europa è tornata a ricoprire un ruolo fondamentale, schieramenti ideologici si pestano nuovamente i piedi nello scacchiere internazionale e le nazioni in aperto contrasto riportano a galla antichi rancori.

Il 2022, subito dopo la crisi pandemica, è stato un anno da record. Un record non invidiabile: le spese militari al massimo. Queste vedono al primo posto gli USA con un piano che riguarda sia l’Ucraina sia le proprie forze. Non si sono fatte attendere le nazioni europee come l’Italia. La NATO non è l’unica a riarmarsi pesantemente. Nazioni come Russia (per via del conflitto in corso), Cina, Iran, India e Giappone mirano sempre più in alto.
Dopo la “calma” post guerra fredda, quello delle spese per la Difesa è, ad oggi, un grafico in repentino aumento.

L’occasione è diventata troppo ghiotta per gli investitori nell’industria della Difesa per essere ignorata. Lo dimostrano i pacchetti di aiuti alla Difesa Ucraina e le richieste sempre più pressanti di Washington affinché i membri NATO investano il 2% del PIL per la Difesa.
Colossi del settore, quali Lockheed Martin (produttore degli arcinoti Javelin), stanno incrementando i loro fatturati, alimentando un circolo di rendita a lungo termine grazie a contratti stipulati con altre nazioni. Questo coinvolge anche società più piccole, come la nostra Leonardo. Capitali così consistenti favoriscono anche l’immagine delle nazioni che ospitano e che lavorano al fianco di queste aziende. Ciò sviluppa il settore ed incrementa i posti di lavoro.
Tutti sembrano guadagnarci.

Eppure, non tutto ciò che luccica è oro. Ciò che sta accadendo va oltre la semplice preparazione difensiva e potrebbe portare ad un casus belli. Una tracotante e presuntuosa sovrastima da parte dell’uno o dell’altro schieramento, potrebbe pericolosamente coinvolgere tutti in una nuova guerra mondiale.
Nel 1914, alla preparazione delle industrie, ha fatto capolinea la guerra più cruenta che la storia abbia mai visto. Il riarmo completo della Germania nel 1939 ha portato ad un’altra guerra; e, per ultimo, in merito alla corsa agli armamenti nucleari non si può dire che la guerra fredda sia mai veramente finita. Questa nuova corsa agli armamenti dovrebbe essere portata avanti con i piedi di piombo dato che in un attimo potrebbe causare danni immani. Maggiori persino di quelli che si avrebbero “lasciando correre” alcune questioni risolvibili con la mediazione, la diplomazia e la rinuncia bilaterale ad alcune pretese. Capacità proprie degli statisti.
Bisognerebbe evitare che il riarmo diventi una spada di Damocle pronta a cadere sulle nostre teste.

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