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Dossier 2023:
propulsione nucleare

La propulsione nucleare è un sistema propulsivo basato sull’utilizzo dell’energia nucleare.

La propulsione spaziale ha segnato il passo per decenni con l’utilizzo predominante di razzi chimici, propellenti solidi e liquidi. Questi sistemi tradizionali si basano su reazioni chimiche che generano gas altamente pressurizzato come mezzo di spinta. Tuttavia, l’efficienza di tali propulsori è altamente variabile, influenzata da numerosi fattori.

Un’alternativa all’avanguardia è rappresentata dai motori a propulsione elettrica, che sfruttano particelle cariche accelerate mediante campi elettrici come principale fonte di propulsione. Nei motori ionici attuali, il propellente utilizzato è, ad esempio, lo xeno, e sono alimentati da energia solare, richiedendo quantità minime di propellente.

Nonostante producano una spinta inferiore rispetto ai razzi tradizionali, i motori ionici sono estremamente efficienti e trovano comunemente impiego nel controllo dell’assetto spaziale.

Un’opzione ancora più sostenibile ed ecologica è rappresentata dalle vele solari. Il principio alla base è semplice: i fotoni, che trasportano quantità di moto, possono trasferire questa energia a una vela spaziale. Tuttavia, la singola quantità di moto dei fotoni è minima, richiedendo quindi una vela di dimensioni considerevoli. Inoltre, la velocità della vela dipende dalla distanza dal Sole.

Il cuore di ogni atomo è l’insieme di particelle subatomiche, conosciute come protoni e neutroni. Queste microscopiche entità sono responsabili della massa di un elemento chimico: più protoni e neutroni si accumulano, maggiore diventa il peso. Tuttavia, alcuni nuclei atomici sono intrinsecamente instabili e possono frammentarsi in nuclei più piccoli quando vengono colpiti da neutroni. Questo fenomeno è noto come fissione nucleare e può rilasciare quantità colossali di energia. Quando i nuclei decadono, rilasciano ulteriori neutroni che proseguono nel processo di frammentazione di altri atomi, scatenando una reazione a catena.

Ma ora, spostiamo l’attenzione sulla propulsione nucleare per un’esperienza ancora più affascinante.

La propulsione nucleare elettrica (NEP) è una straordinaria tecnologia propulsiva che sfrutta l’energia termica generata da un reattore nucleare. Questa energia viene convertita in elettricità attraverso sistemi appositamente progettati e poi utilizzata per alimentare motori a ioni o altre forme di propulsione elettrica. Il reattore nucleare a bordo di un veicolo spaziale assume il ruolo cruciale di una centrale nucleare, generando l’energia necessaria per alimentare i vari sistemi a bordo.

Dall’altra parte della medaglia, la propulsione nucleare termica (NTP) mette il reattore nucleare direttamente al centro della generazione di spinta. In questo scenario, un fluido viene fatto circolare in prossimità del nucleo atomico del reattore, riscaldandosi e causandone l’espansione. Successivamente, il fluido surriscaldato viene espulso attraverso l’ugello del motore, generando una spinta propulsiva. Per raggiungere le velocità e i tempi di percorrenza previsti, un sistema NEP potrebbe necessitare di essere affiancato da un sistema di propulsione chimica, mentre un sistema NTP potrebbe funzionare in modo autonomo.

La sfida principale della Propulsione Nucleare Elettrica (NEP) risiede nella capacità di generare energia sufficiente per alimentare non solo il sistema propulsivo ma anche tutti gli altri sistemi a bordo del veicolo spaziale. Attualmente, la stima della potenza necessaria supera di un ordine di grandezza le capacità dei reattori sperimentali finora realizzati. Inoltre, la tecnologia dei motori a ioni non è adatta alle fasi di accelerazione e decelerazione in prossimità di Terra e Marte. Di conseguenza, diventa essenziale sviluppare un sistema di propulsione chimica che possa lavorare in tandem con la propulsione nucleare elettrica per affrontare queste sfide.

Per quanto riguarda la tecnologia della Propulsione Nucleare Termica (NTP), il gioco prevede quattro fattori critici:

Riscaldamento del Propellente: È necessario riscaldare il propellente a temperature di circa 2.700 Kelvin per ottenere la spinta desiderata.

Stoccaggio dell’Idrogeno Liquido: Il problema del lungo termine consiste nel conservare l’idrogeno liquido nello spazio con la minima perdita possibile.

Accelerazione Rapida e Sicura: Il motore deve raggiungere rapidamente e in modo sicuro la temperatura di esercizio completa entro un minuto dall’accensione.

Strutture di Prova a Terra: È necessario sviluppare adeguate strutture di prova a terra per testare il funzionamento e la sicurezza dei motori nucleari, riducendo al minimo il rischio di inquinamento ambientale.

La questione dell’uso dell’energia nucleare nello spazio presenta non solo sfide tecnologiche ma anche considerazioni politiche. Ad esempio, l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha mantenuto una certa distanza da queste tecnologie, nonostante l’energia atomica sia ampiamente utilizzata tra i suoi paesi membri.

Inoltre, qualsiasi discussione riguardante reattori nucleari per l’uso spaziale deve affrontare il tema della produzione e del lancio nello spazio di notevoli quantità di uranio. Le preoccupazioni politiche a livello internazionale relative alla produzione di uranio altamente arricchito hanno portato gli Stati Uniti a raccomandare l’utilizzo di uranio ad alto dosaggio e basso arricchimento. Tuttavia, il rapporto dell’accademia si mantiene neutrale su questa questione, affermando che al momento non ci sono informazioni sufficienti per prendere una decisione definitiva sulla scelta dell’uranio più adeguato per le missioni marziane.

Tra gli anni ’50 e gli anni ’60, alcuni scienziati americani hanno testato il nucleare per i viaggi spaziali prima che il programma venne cancellato nel 1971.

Il progetto, dal nome Project Orion, era uno studio di fattibilità sullo sfruttamento dell’esplosione di ordigni nucleari come propulsione di vettori spaziali. Fu abbandonato a causa della sigla dell’accordo Partial Test Ban Treaty, che impediva la detonazione nucleare in atmosfera, nello spazio e in acqua, mentre invero sotto terra si aveva il via libera.

Successivamente, nel 1976 sia l’agenzia spaziale americana che quella russa iniziarono gli studi sulla tecnologia nucleare nei satelliti.

Nel 1988 l’agenzia russa Roscosmos lanciò nello spazio una quarantina di satelliti a energia nucleare, anche se parte di essi non divennero operativi. Inoltre, nel 1965 la Nasa aveva già lanciato in orbita un satellite alimentato a uranio, rimasto in funzione solo 43 giorni.

Ad oggi vi sono in orbita 30 tipi di satelliti a energia nucleare e, da oltre 50 anni, sono state realizzate batterie nucleari per le missioni di esplorazione dello spazio profondo.

La National Academy of Science, su studio commissionato dalla NASA, non ha dubbi: l’esplorazione spaziale, in particolare un possibile trasporto di essere umani su Marte entro il 2039, richiede un programma di ricerca e sviluppo spietato riguardo nuovi tipi di propulsione. Uno su tutti: l’energia nucleare.

La divisione NASA delle tecnologie di missione spaziale spinge per la formazione di un gruppo di lavoro specifico per strutturare la ricerca sulle tecniche di propulsione nucleare di interesse per le nuove sfide esplorative.

Il comitato, co-presieduto da Robert Braun del Jet Propulsion Laboratory e Roger Myers, ex responsabile dei programmi spaziali avanzati di Aerojet Rocketdyne, è stato incaricato di definire le tappe fondamentali per lo sviluppo di tali tecnologie, di stimare un possibile cronoprogramma e di delineare eventuali altri profili di missione resi possibili da queste ricerche.

Al momento, lo studio si concentra in particolare sulla propulsione nucleare termica (NTP) e sulla propulsione nucleare elettrica (NEP) nel contesto di una missione di esplorazione di Marte, viaggio di andata e di ritorno, con un equipaggio di quattro persone, escludendo i fattori di gestione e di finanziamento del programma. Nell’ottica dell’esplorazione spaziale, si sta anche valutando l’utilizzo di centrali nucleari in formato ridotto per trasformare i minerali reperibili in loco in materiali edili con cui costruire installazioni sostenibili, sia in ambiente lunare sia in ambiente marziano per esempio.

L’energia nucleare è una fonte di energia affidabile e duratura per questo tipo di contesti, al contrario delle forme classiche, come il petrolio o il solare. Il primo andrebbe incontro a problemi logistici e di sicurezza nel corso del trasporto. Il secondo sarebbe troppo dipendente dalle condizioni climatiche e delle ore del giorno.

Inoltre, l’attrattiva dei sistemi di propulsione nucleare è legata alla loro alta efficienza: confrontati con motori a propulsione chimica fino ad oggi utilizzati, quelli nucleari possono offrire prestazioni anche doppie, consentendo di ridurre i tempi di viaggio o di aumentare la quantità di carico utile trasportato, a parità di massa di propellenti.

Qui il punto: un veicolo spaziale per un viaggio dalla Terra verso Marte può essere lanciato minimizzando il lavoro del sistema di propulsione solo quando i due pianeti sono allineati in maniera specifica: una congiunzione che si verifica ogni 26 mesi.

Finora, le missioni robotiche di lunga permanenza sono state effettuate in stato di allineamento, mentre di breve permanenza in opposizione, pertanto queste ultime richiedono maggiori prestazioni al sistema di propulsione, ma riducono il tempo di viaggio totale, un fattore importante per la salute e la sicurezza dell’equipaggio.

Infatti, nel primo caso si sfrutta la congiunzione in andata e in ritorno, vedendo tempi di percorrenza relativamente ridotti ma lunghe permanenze presso Marte, nell’ordine di 400–600 giorni sul totale di circa 1000 della missione.

Le missioni di breve permanenza, invece, hanno il favore dell’allineamento planetario Terra-Marte solo in una delle due parti del viaggio. Tipicamente, in andata. In questo caso, il tempo trascorso in viaggio è più lungo se comparato alle missioni di lunga permanenza, a fronte di un periodo massimo di lavoro sulla superficie di circa 90 giorni.

Il risultato netto è che le missioni di breve permanenza espongono gli equipaggi a un periodo di lontananza dalla Terra più breve, anche se la durata precisa della missione è legata al lavoro richiesto dal viaggio di ritorno.

I fattori di demerito delle missioni di breve permanenza si riassumono in consumo di propellenti più elevato e minor tempo da dedicare alle attività scientifiche in superficie e per questo sono spesso scartate negli studi di fattibilità.

Tuttavia, le missioni di lunga permanenza prolungano l’esposizione dell’equipaggio agli ambienti ostili dello spazio profondo: veicoli spaziali che restino sicuri, funzionanti e affidabili per più tempo e queste componenti vanno dunque ad aggiungersi al rischio complessivo della missione.

Secondo il rapporto dell’accademia, una missione che partisse in concomitanza con la congiunzione Terra-Marte del 2039 richiederebbe 916 giorni complessivi: 210 giorni per raggiungere Marte, 496 giorni di lavoro sulla superficie, necessari affinché i due pianeti siano di nuovo allineati correttamente, e 210 giorni per il viaggio verso casa.

Una missione in opposizione potrebbe invece essere lanciata nel 2037 e durare 650 giorni: 217 giorni per il viaggio di andata, 30 giorni di lavoro in superficie e 403 giorni per il ritorno.

Inoltre, l’esplorazione spaziale è affetta da un continuo procrastinare. Si tratta di un’impresa molto costosa, ci sarebbe bisogno di un solido consorzio politico tra gli Stati e un allineamento univoco e duraturo degli interessi nazionali e, nonostante questo, l’orizzonte temporale di queste iniziative è così di lungo tempo che potrebbe entrare in gioco tagli ai finanziamenti o imprevisti che potrebbero minare tutto il lavoro svolto.

Ecco perché la volontà ferrea a voler elaborare il progetto nella maniera più analitica e cinica possibile.

L’agenzia governativa statunitense Defense Advanced Research Project Agency (DARPA) ha selezionato 3 società americane per la progettazione di un prototipo di veicolo spaziale a propulsione nucleare da utilizzare oltre l’orbita terrestre bassa nel 2025.Il programma ha lo scopo di verificare la fattibilità di un mezzo spaziale dotato di propulsione nucleare termica.

Nelle aspettative di DARPA, si dovrebbe avere un elevato rapporto spinta/peso, avvicinandosi alle caratteristiche dei propulsori a razzo a propellenti chimici, e un elevato impulso specifico, prossimo a quello dei propulsori spaziali elettrici, risultando pertanto molto adatto a effettuare spostamenti rapidi nello spazio fra Terra e Luna.

La fase iniziale del progetto, della durata di 18 mesi, si compone di due distinte attività:

  1. progettazione del reattore destinato allo NTP e ideazione del propulsore nucleare termico;
  2. progettazione di un veicolo spaziale in grado di utilizzare il propulsore NTP e di soddisfare i requisiti di volo cislunare.

DARPA ha assegnato a General Atomic, con un finanziamento di 22 milioni di dollari, la realizzazione del progetto del reattore e del propulsore, mentre Blue Origin, destinataria di 2,5 milioni di dollari, e Lockheed Martin, finanziata con 2,9 milioni di dollari, dovranno occuparsi di progettare ciascuna, indipendentemente l’una dall’altra, il veicolo spaziale che utilizzerà la propulsione nucleare termica. Il risultato della fase iniziale del programma servirà a DARPA per pianificare le successive fasi di progettazione di dettaglio, la costruzione e il lancio in orbita del veicolo dimostrativo a propulsione nucleare termica.

Nella progettazione di centrali nucleari in formato ridotto, la NASA sta lavorando con diverse agenzie di ricerca americane, tra cui il Los Alamos National Laboratory e il Nevada National Security Site, al progetto Kilopower.

Il reattore Kilopower genera energia attraverso una fissione nucleare attiva, in cui gli atomi si separano sprigionando energia. Questo piccolo e leggero reattore a fissione può generare fino a 10 kilowatt di energia elettrica —abbastanza per rifornire un insieme di edifici residenziali per almeno un decennio. L’alimentazione elettrica di una stazione su Marte richiederebbe circa 40 kW, o quattro reattori Kilopower.

Nel 2018 la NASA ha condotto una serie di test sperimentali per dimostrare la fattibilità della tecnologia Kilopower. Nelle prime due fasi, ogni componente del reattore è stato testato senza energia. Nella terza fase, la generazione di energia è stata attivata e incrementata gradualmente per riscaldare il nocciolo. Nella quarta e ultima fase, è stato eseguito un test a piena potenza della durata di un giorno per simulare una missione virtuale con avviamento del reattore, aumento della potenza fino alla massima capacità, funzionamento stabile e arresto. Durante i test, sono stati simulati vari problemi operativi, tra cui un abbassamento della potenza, un’avaria dei motori e una rottura dei tubi di riscaldamento, per dimostrare che il sistema fosse in grado di operare nonostante il guasto di diversi componenti e funzioni operative.

Le prestazioni riguardo la quantità di energia prodotta sono nettamente superiori alle possibilità attuali.

Anche in Europa, la direzione sembra essere la stessa. Rolls-Royce e la UK Space Agency uniscono le forze per portare avanti uno studio sulla progettazione di navicelle a propulsione nucleare. Lo scopo è consentire agli astronauti di raggiungere Marte in soli quattro mesi riducendo così i tempi di esposizione alle radiazioni.

Stando alle dichiarazioni del Governo britannico, la partnership tra Rolls-Royce e UK Space Agency porterà fermento nella comunità scientifica. Anzi, Graham Turnock, direttore generale della UK Space Agency, è convinto che l’applicazione dell’energia nucleare nel campo dell’esplorazione spaziale potrebbe sbloccare la possibilità di avviare missioni nello spazio profondo ben oltre Marte.

Infatti, Rolls-Royce per oltre 60 anni ha fornito la tecnologia di propulsione nucleare usata dai sottomarini della Royal Navy e sta gestendo la costruzione di diversi small modular nuclear reactors sempre in UK, reattori nucleari dalle dimensioni e potenze ridotte che offrono vantaggi in termini di esercizio e sicurezza.

La NASA e la DARPA hanno affidato a Lockheed Martin l’incarico di sviluppare il primo prototipo di razzo a propulsione nucleare, noto come Demonstration Rocket for Agile Cislunar Operations (DRACO), destinato a effettuare test nello spazio a partire dal 2027. Questa iniziativa ambiziosa è finalizzata alla creazione di una tecnologia di propulsione nucleare destinata all’esplorazione interplanetaria, con l’obiettivo di accelerare significativamente i viaggi verso la Luna e Marte nei prossimi decenni.

L’accordo di collaborazione tra la NASA e la DARPA, siglato a gennaio del 2023, assegna alla NASA la responsabilità della costruzione del reattore, mentre la DARPA si occupa dello sviluppo del veicolo spaziale e degli aspetti regolatori. Per quanto riguarda il sistema di immissione in orbita, la Space Force fornirà un vettore “tradizionale”. Il progetto dispone attualmente di un budget di 500 milioni di dollari, di cui 300 milioni sono finanziati dalla NASA. Fino a 250 milioni di dollari sono destinati allo sviluppo tecnico, mentre la cifra specifica assegnata all’industria non è stata dichiarata, poiché si prevede che vi saranno contributi finanziari anche da parte delle aziende coinvolte. Lockheed Martin collaborerà con BWXT Advanced Technologies nello sviluppo del primo prototipo, noto come NTR vehicle (X-NTRV).

Il primo test, previsto per il 2027, comporterà il lancio in orbita del prototipo utilizzando un vettore tradizionale. Questa fase di prova avverrà in orbita terrestre bassa, con altitudini comprese tra 700 e 2000 km. Durante questo test, verranno valutate le tecnologie di accensione e propulsione, oltre alla gestione del propellente nucleare. Il carburante utilizzato sarà uranio arricchito a basso dosaggio (high-assay low-enriched uranium), noto come HALEU, un combustibile mai sperimentato prima d’ora.

Tabitha Dodson, responsabile del programma DRACO presso la DARPA, ha sottolineato che il volo inaugurale del 2027 rappresenterà un volo dimostrativo e non comporterà manovre o operazioni particolari in orbita. Questo test rappresenterà il primo utilizzo nello spazio di un propellente di questo genere.

L’obiettivo primario sarà condurre con successo il test di propulsione, raccogliendo il massimo numero possibile di dati e puntando a ottenere un ideale impulso specifico compreso tra gli 850 e i 900 secondi, aprendo così le porte a un futuro di esplorazione spaziale avanzata alimentato dalla propulsione nucleare.

Sebbene le auto a propulsione nucleare non abbiano mai raggiunto le strade principali, il loro racconto è un tassello importante nella ricerca di soluzioni innovative per affrontare le sfide energetiche contemporanee e del tema della propulsione nucleare.

Negli anni ’50, in Francia, sorse la Compagnie Normande d’Etudes pour l’Application de Procédés Mécaniques, un nome lungo per un’azienda automobilistica incaricata di esplorare territori sconosciuti. Questa casa automobilistica aveva un obiettivo ambizioso: sviluppare veicoli sperimentali. Tra le loro creazioni più audaci c’era l’Arbel, un veicolo ibrido benzina-elettrico con carrozzeria in fibra di vetro, capace di ospitare otto passeggeri. La prima generazione di questo modello entrò in produzione limitata nel 1951, ma fu solo nel 1958, al Salone di Ginevra, che attirò l’attenzione con la versione chiamata Symetric. Questa variante doveva essere alimentata da un generatore termico nucleare da 40 KW noto come genestatom, che aveva l’ambizioso progetto di utilizzare le scorie nucleari come combustibile. Tuttavia, il progetto non ottenne l’approvazione delle autorità francesi, rimanendo un sogno irrealizzato.

Uno dei progetti di auto a propulsione nucleare più famosi è il concept Ford Nucleon, sebbene sia rimasto solo un modello in scala 1/33 e non sia mai stato prodotto in scala reale. La Ford sviluppò questo prototipo come uno strumento di ricerca destinato a consentire agli scienziati di studiare come ridimensionare i reattori nucleari e renderli sicuri per l’uso civile. L’idea prevedeva un reattore nucleare montato nella parte posteriore dell’auto, alimentando un motore a vapore tramite fissione dell’uranio. La Ford dichiarò un’autonomia di 8.000 km, anche se il reattore immaginato non esisteva ancora. A differenza della Symetric, la Nucleon non richiedeva il rifornimento, ma semplicemente la sostituzione del reattore esausto, consentendo ai clienti di personalizzare le prestazioni dell’auto in base al reattore scelto. Questo modello in scala è oggi esposto all’Henry Ford Museum di Dearborn, nel Michigan.

Mentre i francesi esploravano la Symetric e gli Stati Uniti sognavano la Nucleon, al Salone dell’Auto di Ginevra del 1959, la Simca Fulgur faceva il suo ingresso. Questo veicolo, progettato dalla Simca, una sussidiaria della Fiat, offriva una visione del futuro dell’automobilismo nel 2000, alimentato dall’energia atomica. La Fulgur presentava un sistema di assistenza alla guida controllato da comandi vocali e un pilota automatico che riceveva informazioni da una torre di controllo esterna. Tuttavia, il suo aspetto più sorprendente era il sistema di equilibrio, basato su due delle quattro ruote.

Infine, tra tutti i prototipi, la Studebaker Packard Astral spiccava per la sua audacia. Questo veicolo doveva avere una sola ruota, stabilizzata da giroscopi. Utilizzava un concetto chiamato “motore ionico” e disponeva di una “cortina di energia” trasparente per proteggere gli occupanti dalle radiazioni del motore. Oggi, questo concetto è noto come “campo di forza”. Tuttavia, sia il futuro immaginato, sia le auto a propulsione nucleare rimasero un sogno, senza mai diventare realtà.

Questi progetti storici ci ricordano quanto fosse audace la visione del passato e come la ricerca nell’ambito dell’energia nucleare abbia aperto la strada a nuove sfide e opportunità nel mondo dell’automobilismo contemporaneo. Sebbene le auto a propulsione nucleare del passato siano rimaste un sogno irrealizzato, il loro spirito di innovazione continua a ispirare le sfide del presente e a delineare il futuro dell’industria automobilistica.

Non solo spazio.

Un’importante collaborazione tra Newcleo, Fincantieri e Rina sta prendendo forma, mirando a rivoluzionare il settore navale attraverso l’adozione di un sistema di propulsione nucleare. Questa iniziativa mira a introdurre un mini-reattore nucleare chiuso su navi di grandi dimensioni, con l’obiettivo principale di decarbonizzare l’industria marittima.

Newcleo, un’azienda specializzata nello sviluppo di reattori nucleari innovativi di quarta generazione, collaborerà con Fincantieri, leader mondiale nella costruzione navale, e Rina, una multinazionale specializzata in ispezione e certificazione, per condurre uno studio di fattibilità sulle applicazioni nucleari nel settore marittimo. Questa partnership sinergica sfrutterà l’avanzata tecnologia dei piccoli reattori modulari raffreddati a piombo sviluppati da Newcleo.

L’idea chiave dietro questo progetto è l’utilizzo del reattore veloce raffreddato al piombo di Newcleo per la propulsione navale. Questo mini-reattore sarebbe installato sulle navi, funzionando come una potente batteria in grado di generare fino a 30 MW di energia elettrica. La sua particolarità sta nel richiedere rifornimenti solo ogni 10-15 anni, oltre a necessitare di una manutenzione estremamente limitata e a consentire la sostituzione del reattore alla fine della sua vita operativa.

L’adozione di energia nucleare pulita per le navi rappresenterebbe un passo significativo verso la decarbonizzazione di un settore notoriamente dipendente dai combustibili fossili e responsabile di significative emissioni di carbonio. L’industria navale ha recentemente approvato nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra attraverso l’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO), con l’ambizioso obiettivo di azzerarle entro il 2050.

Un aspetto cruciale di questo approccio nucleare alla propulsione navale è la sua sicurezza ambientale. In caso di incidente, il piombo liquido all’interno del reattore si solidifica a contatto con l’acqua fredda, creando un involucro solido che racchiude il nucleo del reattore e contiene tutte le radiazioni, sfruttando le proprietà schermanti del piombo.

Pierroberto Folgiero, CEO e Direttore Generale di Fincantieri, ha sottolineato l’importanza di questa collaborazione, affermando che “Fincantieri ribadisce la sua vocazione ad essere pioniere e catalizzatore del progresso nel settore marittimo con tecnologie all’avanguardia, efficienti e sostenibili.” Questo accordo rappresenta un passo significativo verso l’obiettivo ambizioso di decarbonizzazione del settore navale.

Sprigionare la potenza dell’atomo non ha creato un nuovo problema. Ha reso più urgente la necessità di risolverne uno esistente e, in questo caso, ha portato l’unione del fronte umano, indipendentemente dalla cultura, sotto un unico sguardo.

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